OCCHI APERTI, AMERICA LATINA

danielfidelgheddafiGli eventi che stanno stravolgendo parte del mondo arabo, fanno sentire la loro eco anche aldilà dell’Oceano, e nonpotrebbe essere altrimenti. La Tunisia, l’Egitto, e ora la Libia.

Proprio quest’ultima, ha suscitato una ondata di commenti e posizioni in America Latina che non possiamo fare a meno di analizzare. Sforziamoci di farlo al netto della inetta copertura mediatica che gli si sta dando, piena di riflessi para-imperialisti e disonestà intellettuale. Una riedizione del marketing informativo della menzogna che ricorda inevitabilmente le fosse comuni di Timisoara e le operazioni militari israeliani nella striscia di Gaza. Le prime, false; le seconde, realizzate nel più totale silenzio della comunità internazionale, costernata a posteriori. Che Gheddafi si fosse rifugiato in Venezuela, è stato smentito nell’arco di una battuta d’agenzia. Che Chávez stia dando appoggio e solidarietà al mandatario libico, è invece vero. E con lui si sono schierati, in forma diverse ma sostanzialmente omogenee, molti altri leader della cosiddetta “America integrazionista”. Daniel Ortega, e soprattutto Fidel Castro. Ora, il punto è che storicamente Gheddafi è stato un “faro” in versione araba (laica, non dimentichiamolo) dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo; la sua rivoluzione verde ha stretto rapporti e solidarietà con gran parte del mondo in ebollizione dell’epoca.

Le rivoluzioni compiute, come quella cubana e quella sandinista, nonché le “incompiute”, come quella irlandese per dirne una, si inserivano a pieno titolo nella nascente stagione di una nuova diplomazia dal basso, staccata ed indipendente dalle briglie nordamericane. Una rinnovata e costante emancipazione che vedeva la possibilità di scegliersi partner politici-commerciali-militari in piena libertà, senza i condizionamenti di un ordinamento geopolitico manovrato e manipolato dai soliti noti. Una rivoluzione nella rivoluzione. Tutto questo però aveva forse un senso fino ad una quindicina di anni fa, vale a dire fino a quando il muhammar non decise di svendere la propria integrità per ingraziarsi i governi degli Stati Uniti e della Unione Europea. Da bastione dell’antimperialismo divenne bastione delle migrazioni. Cancellate in men che non si dica le vittime di Lockerbie e gli attriti con le amministrazioni nordamericane Gheddafi inaugurava la sua nuova epoca: al servizio della fortezza Europa. A questo proposito, si raccomanda di leggere e rileggere i lavori di Gabriele Del Grande, da anni impegnato a raccontarci le nefandezze della cerniera mediterranea, con i suoi libri e con il suo sito fortresseeurope.

Insomma, l’ennesimo sanguinario dittatore diventava tutt’a un tratto la faccia presentabile dell’islamismo. L’acerrimo nemico diventava il “mansueto” servitore degli interessi statunitensi ed europei. La invasione migratoria dal povero sud del mondo verso il dorato nord del pianeta trovava in Gheddafi un fedele Cerbero, i campi di concentramento nella “sua” Libia hanno fatto il paio con i lager di Guantanamo. Petrolio in cambio di mattanza. Per pudore, solo per malcelato pudore, ometterei i dettagli della saga Bedrlusconi-Gheddafi, una oscena rappresentazione di come la inadeguatezza possa associarsi al crimine. Una oscena rappresentazione dell’irreversibile bizantinismo in cui sta precipitando il mondo occidentale tutto, e di cui B. ne è il drammatico simulacro.

La quasi totalità dei governi europei hanno aperto le braccia a Gheddafi mentre si aprivano le porte dei nuovi campi di concentramento. Hanno stretto la sua mano (quando non baciata..) mentre se ne ammanettavano a migliaia in nome della sicurezza mondiale. Lo hanno abbracciato mentre nel deserto libico venivano torturati violentati e uccisi centinaia di esseri umani. È la realpolitik, baby. Subalterna a qualsiasi istanza dei diritti civili. Sorda a qualsiasi urlo fuori dal coro. L’ America Latina però, non può soffocare quell’intento di primavera che sta sperimentando nel vuoto degli slogan. Non può cadere nella trappola dei due pesi e due misure che fa tanto comodo al neo-colonialismo. Gheddafi è un criminale come lo sono Bush Blair Berlusconi Putin e via discorrendo. Non può voltare le spalle alle piazze arabe solo in nome di un vetusto e posticcio antiimperialismo. Le dichiarazioni sentite in questi in questi giorni da Ortega, Chávez e Fidel, nonché da molta stampa “latinoamericanista”, fanno storcere il naso e gettano discredito su quanto di buono si sta facendo nel sub-continente. Nessuno vuole convincere e convincersi che le piazze del Cairo di Tunisi e di Bengasi siano le avanguardie di un nuovo ottobre, ma rinchiuderle nel (comodo) parametro delle passate “rivoluzioni” colorate potrebbe risultare un errore fatale. Storico, politico, antropologico.

Storico, perché ciò che sta avvenendo in quell’angolo di mondo è di una rilevanza gigantesca, e poco importa se siamo ancora imbrigliati nella cronaca. Ciò che veniva artatamente descritto come una enorme enclave islamica, dove il cambiamento sarebbe maturato solo ed esclusivamente in una prospettiva oscurantista e di stile “iraniano”, ha al contrario esaltato le rivendicazioni “laiche” di una popolazione ormai irrimediabilmente stanca di essere comprimaria e vittima della ennesima dittatura gradita ai grandi dell’occidente. Che la hanno sempre alimentata e rifocillata grazie anche a media compiacenti e avvezzi alla ars adulatoria.

Politico, perché quelle piazze reclamano giustizia eguaglianza e libertà, e non le si può relegare a “strumenti della reazione” solo perché non combaciano esattamente con i presupposti che hanno determinato il cammino rivoluzionario di Cuba, Nicaragua e Venezuela. Tanto più che il sud del mondo continua a guardare con rispetto e ammirazione tutte queste esperienze rivoluzionarie, ed usare ora forme sillogistiche per ridimensionare l’ondata araba non crediamo faccia gi interessi della causa latinoamericana, intesa come espressione diretta e sincera dei popoli uniti nell’ALBA.

Antropologico, perché si sono rovesciati completamente i dettami per cui le istanze di vera democrazia siano appannaggio dell’Occidente. Che infatti, fino ad ora, la sta imponendo in M.O. con le armi. Fatte salve le dovute differenza tra ciò che è accaduto in Tunisia ed in Egitto e ciò che invece sta accadendo in Libia, l’elemento che sta prepotentemente venendo fuori è la capacità ancora viva e vegeta dell’essere umano di mettere mano alla propria esistenza e di trasformarla, utilizzando spesso strumenti che sono antitetici tra loro ma comunicanti; o meglio, prassi vecchie e nuove tra loro concordanti. La piazza, reale, e quella, virtuale, del web. Un fatto relativamente nuovo, che andrebbe analizzato senza schemi preconfezionati. Un antidoto, forse, alla pornografica kermesse della informazione mainstream.

Vero è altrettanto, che le vagonate di menzogne che riempiono i vari notiziari fanno parte del mercato della notizia ad uso e consumo del capitale, e che l’esecrabile conta a scala variabile delle vittime “distrae” da ciò che in realtà succede, vittime a tutt’oggi delle armi di Gheddafi, non ancora di quelle della NATO. Che forse non tarderà ad intervenire, per salvaguardare la linfa vitale che sostiene il mondo occidentale: il petrolio. Su questo punto come su tanti altri siamo d’accordo, manco a dirlo, e non da oggi.

Dobbiamo però con franchezza rilevare che nella lettura che si sta facendo in America Latina degli eventi odierni ci sia una zona d’ombra, un angolo cieco dove può prendere piede una sorta di verità variabile che condanna, per esempio, la direttiva EU in materia di migrazione dall’America Latina e assolve invece i crimini di Gheddafi.

Da questa parte, questi crimini noi li vediamo e li denunciamo, così come continuiamo a sostenere le istanze di cambiamento e i processi rivoluzionari dell’intero continente latinoamericano. Vorremmo si vedessero anche da lì. Occhi aperti, America Latina.

M.A.