
Questa prima decade del terzo millennio ha già registrato passaggi significativi in tutta l’America Latina. Tra questi, il ritorno dell’FSLN al potere in Nicaragua. Un abisso di neoliberismo alle spalle che ha segnato il Paese nelle sue viscere; sedici anni pre-rivoluzionari. Nel resto del Continente, nel frattempo, prendeva corpo l’idea di riunire in una unica grande casa risorse e forze che in definitiva avevano decretato il fallimento dell’ALCA. Nasceva l’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América). Aldilà della ondata progressista che ha interessato diverse realtà nazionali, veniva a costituirsi un progetto di unità continentale che si basasse su scambi di solidarietà e non su accordi commerciali. Una inversione netta – culturale e politica ancorché economica e finanziaria – rispetto alla mercificazione tout court che hanno preteso imporre questi anni di capitalismo selvaggio. Recuperare la lezione guevarista di un “blocco latinoamericano” protagonista e non subalterno alle mire espansionistiche del vorace nord. Una lezione anche per noi.
Gli eventi che stanno stravolgendo parte del mondo arabo, fanno sentire la loro eco anche aldilà dell’Oceano, e nonpotrebbe essere altrimenti. La Tunisia, l’Egitto, e ora la Libia.
Proprio quest’ultima, ha suscitato una ondata di commenti e posizioni in America Latina che non possiamo fare a meno di analizzare. Sforziamoci di farlo al netto della inetta copertura mediatica che gli si sta dando, piena di riflessi para-imperialisti e disonestà intellettuale. Una riedizione del marketing informativo della menzogna che ricorda inevitabilmente le fosse comuni di Timisoara e le operazioni militari israeliani nella striscia di Gaza. Le prime, false; le seconde, realizzate nel più totale silenzio della comunità internazionale, costernata a posteriori. Che Gheddafi si fosse rifugiato in Venezuela, è stato smentito nell’arco di una battuta d’agenzia. Che Chávez stia dando appoggio e solidarietà al mandatario libico, è invece vero. E con lui si sono schierati, in forma diverse ma sostanzialmente omogenee, molti altri leader della cosiddetta “America integrazionista”. Daniel Ortega, e soprattutto Fidel Castro. Ora, il punto è che storicamente Gheddafi è stato un “faro” in versione araba (laica, non dimentichiamolo) dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo; la sua rivoluzione verde ha stretto rapporti e solidarietà con gran parte del mondo in ebollizione dell’epoca.
(Report conclusivo redatto per il seminario sul lavoro che si è tenuto durante l’iniziativa “Caminando la palabra” )
Il punto di domanda contenuto all’interno del titolo suggerisce già una chiave di lettura sugli obiettivi perseguiti dall’articolo. L’evoluzione del neoliberismo, o per meglio dire il definitivo imbarbarimento del capitalismo, ha creato dei mostri che rimbalzano e si riproducono in ogni parte del pianeta come fossero un format dello sfruttamento. La catena di montaggio di stampo fordista ha travolto le frontiere ed ha globalizzato la produzione. Risulta quanto meno contraddittorio che in una epoca contraddistinta dalle nazioni-fortezze – e dall’innalzamento di muri – le merci si spostino con una facilità sorprendente. Il regime di protezionismo imposto dalle “super potenze” ed il dominio incontrastato dell’economia sulla politica, ha fatto della terra un immenso mercato. Avete creato un deserto, e l’avete chiamato civiltà. La legge del profitto, regola le moderne democrazie, caricature tragiche della partecipazione. Uno specchio deformato che confonde la crescita con lo sviluppo. In questo contesto s’inseriscono le realtà le esperienze le proposte e le lotte di un continente che per la complessità della sua storia, ammesso che esistano storie “semplici”, non esita a confrontarsi con le proprie contraddizioni.
En una carta enviada al presidente norteamericano Barack Obama, el presidente constitucional de Honduras, Manuel Zelaya Rosales, decidió renunciar a su restitución a la Presidencia.
A sólas dos semanas dal las elecciones, el presidente Zelaya considera que ya no es tiempo de diálogo, ni de acuerdos y que su restitución serviría al gobierno de facto para legitimar un proceso electoral que considera ilegítimo.
Esa es la carta que el presidente hondureño envió a su omólogo
Del Escritorio de Señor Presidente
Tegucigalpa, 14 de Noviembre de 2009
S. E. BARACK OBAMA PRESIDENTE EEUU Washington D. C.
Estimado Presidente Obama:
Cuando nos reunimos por primera vez el 8 de julio con la Secretaria de Estado Clinton después del Golpe de Estado se dejo claro ante mi y ante el mundo la posición de la administración Obama de condenar el Golpe de Estado, desconocer sus autoridades y exigir el retorno del estado de derecho con la restitución, al cargo de Presidente electo por el pueblo. La posición oficial de su gobierno y sus representantes que patrocinaron y firmaron las resoluciones de la ONU, OEA. En el que el tercer punto exige mi restitución inmediata y segura.
Leggi tutto “Zelaya renuncia a su restitución”
Hace veinte años asesinaron a mis hermanos jesuitas de la UCA, a Julia Elba y Celina. Yo estaba en Tailandia, y de regreso a El Salvador tenía que pasar por San Francisco. En el aeropuerto me esperaban, con rostros impávidos, Steve Prevett y Peggy O’Grady.
En las calles de San Francisco, con un parlante en la mano, Paul Locatelli condenaba los asesinatos, y Tessa Rouverol le acompañaba. Me trajeron a la universidad de Santa Clara. La comunidad me acogió como a un hermano y en ella pasé varias semanas.
Al llegar me encontré con ocho cruces plantadas delante de la Iglesia. Y cuando un desalmado las arrancó, Paul Locatelli inmediatamente las volvió a plantar. Nunca lo olvidaré. Por eso, ahora tengo un sentimiento de “volver a casa”.
Leggi tutto “Mártires de UCA salvadoreña. Exigencia y gracia”