(Report conclusivo redatto per il seminario sul lavoro che si è tenuto durante l’iniziativa “Caminando la palabra” )
Il punto di domanda contenuto all’interno del titolo suggerisce già una chiave di lettura sugli obiettivi perseguiti dall’articolo. L’evoluzione del neoliberismo, o per meglio dire il definitivo imbarbarimento del capitalismo, ha creato dei mostri che rimbalzano e si riproducono in ogni parte del pianeta come fossero un format dello sfruttamento. La catena di montaggio di stampo fordista ha travolto le frontiere ed ha globalizzato la produzione. Risulta quanto meno contraddittorio che in una epoca contraddistinta dalle nazioni-fortezze – e dall’innalzamento di muri – le merci si spostino con una facilità sorprendente. Il regime di protezionismo imposto dalle “super potenze” ed il dominio incontrastato dell’economia sulla politica, ha fatto della terra un immenso mercato. Avete creato un deserto, e l’avete chiamato civiltà. La legge del profitto, regola le moderne democrazie, caricature tragiche della partecipazione. Uno specchio deformato che confonde la crescita con lo sviluppo. In questo contesto s’inseriscono le realtà le esperienze le proposte e le lotte di un continente che per la complessità della sua storia, ammesso che esistano storie “semplici”, non esita a confrontarsi con le proprie contraddizioni.
Le Zone Franche sono un paradigma della voracità occidentale. Una continuazione della politica del saccheggio; un eterno colonialismo. Una lettura sufficientemente attenta di ciò che sta accadendo in America Latina da diversi anni a questa parte ci fa capire come la medievalizzazione del lavoro è sbarcata anche da noi.
A destrutturazione del lavoro corrisponde sgretolamento dei diritti. In luogo della fabbrica di stampo fordista, come ricordavamo prima, e della tradizionale concezione della produzione si è arrivati ad una sorta di maquila su scala planetaria che annichilisce stagioni di conquiste. Il termine maquila, deriva dall’espressione araba “makila” che designa la quota di grano, farina od olio destinata ad un mulino per la macinazione. In Centroamerica, l’espressione “maquilar” si riferisce all’attività economica realizzata da imprese nazionali o straniere che si occupano solo di una parte del processo di confezione. Sono imprese di assemblaggio che mettono insieme prodotti già semilavorati importati dai paesi sviluppati. Una volta messi insieme, i prodotti vengono esportati per essere venduti all’estero.
In Italia esiste un piano di Zone Franche Urbane (introdotte dal Governo Prodi e rifinanziate dal Governo Berlusconi) e fabbriche recuperate che sopravvivono e producono, sull’esempio della Zanon argentina. Esiste una evidente assenza di democrazia nei luoghi di lavoro che impedisce la nascita e lo sviluppo di una opposizione sindacale reale alle politiche delle imprese, per non parlare della destrutturazione del mercato del lavoro che è da anni uno dei tanti aspetti della crisi attuale fino ad arrivare all’attacco al diritto di sciopero e ai contratti nazionali rispetto ai quali oltre alla campagna demagogica del governo corrisponde il silenzio complice della opposizione politica istituzionale e dei sindacati concertativi (CISL-UIL-UGL-CISAL con la CGIL al momento all’angolo).
Realtà/verità misconosciute che non godono delle luci della ribalta, perché la disperazione fa notizia solo quando è fine a se stessa o diventa un problema di “sicurezza”. Se invece si trasforma in (pericoloso) modello di alternativa alla ingordigia del capitale, cala l’oblio.
Per scrostare il mondo del lavoro dalla patina di quasi abbandono e disinteresse, che si annida anche nelle realtà più conflittuali ed antagoniste, dobbiamo restituirgli la centralità che gli compete. Bisogna ristabilire dei contatti che sorpassino la modalità del focus o del “semplice” monitoraggio di un fenomeno lontano dalle nostre vite; la precarietà e l’arretramento che registriamo nell’ambito dei diritti che si credeva fossero acquisiti e tutelati è al contrario un fenomeno che investe trascina e stravolge le nostre esistenze. Che contribuisce a decomporre il tessuto connettivo di quella parte di società abituata a raccogliersi attorno alle sollecitazioni dei più deboli. Non si tratta, evidentemente, di reclamare solo degli ammortizzatori sociali, ma di ripensare il proprio ruolo di lavoratore e lavoratrice di fronte ad una offensiva super-conservatrice che ripropone un modello conosciuto e saggiato in America Latina: privatizzare i profitti, socializzare le perdite.
Perché allora non aggredire il mondo delle cooperative sociali costruendo delle lotte che puntino non solo alla difesa dei diritti e alla certezza del salario ma anche alla internalizzazione dei servizi che proprio attraverso la cooperazione sociale sono stati scippati ai cittadini ?
Il seminario ha cercato di riportare delle esperienze anche semisconosciute, come quelle delle ZF, articolandole all’interno di un ragionamento che ponesse l’accento sul mutuo interesse che ne potesse derivare dall’approfondimento degli argomenti in questione.
Collocandoli nel solco storico della ricca e variegata tradizione sindacalista latinoamericana, come nel caso argentino. Il seminario è anche frutto di una ricerca delle ragioni sociali e di una geografia della sopraffazione che sconta ancora gli effetti della conquista, dopo cinquecentodiciassette anni di tentativi, a volte pienamente riusciti, di emancipazione e liberazione. Il sub-continente è una terra in continua ebollizione, e non esita ad evidenziare le proprie contraddizioni, rintracciabili anche nel mondo del lavoro. La decisa virata “a sinistra” degli ultimi anni non ha risolto del tutto la sindrome da dipendenza rispetto alle politiche economiche degli USA, lasciando ad un bastione come la Colombia il compito di gendarme e guastatore dell’intera area. Gli accordi commerciali capestro ancora vigenti tengono sotto scacco alcune deboli economie tuttora in regime di etero-sussistenza, malgrado l’inequivocabile novità dell’ALCA. La forza lavoro presente su tutto il territorio continua ad essere considerata una risorsa da saccheggiare, una materia prima spesso a costo zero che riempie i granai del ricco nord. Diritti negati, diritti inalienabili, economia di guerra, migrazioni forzate, movimenti e solidarietà; non c’è abbastanza America Latina in Italia?
La parola cammina, sbaraglia le frontiere.