Nazione malata, capitale infetta

Non si può fare a meno di pensare a Pier Paolo Pasolini mano a mano che giungono notizie su Mafia Capitale. Aldilà della facile suggestione, ora si potrebbe quasi dire che oltre a sapere, “io so”, ci sono anche le prove. Le prove di un sistema fasciomafioso messo su grazie a compiacenze istituzionali e giuridiche. Non sono certo sufficienti gli sforzi di una Procura che per anni è stata famosa per essere un porto delle nebbie. Questa definizione risale ad anni e anni fa, quando il redditizio intreccio tra criminalità e potere era già una realtà. Già visibile a chi sapeva ma non aveva le prove.v_v

E non sono certo sufficienti le telecomandate ondate di sdegno da parte di chi in quel caliginoso porto faceva approdare comodamente le proprie navi. La sovrapposizione tra mafia e politica, al punto di non capire più esattamente dove inizia l’una e finisce l’altra, non è storia recente. E, stiamone certi, non si esaurisce per gli effetti di una inchiesta giudiziaria. Affonda le radici in un terreno che ancor prima che giudiziario e politico, è culturale. Lo stesso che ha fatto germogliare i vari fascismi in giro per il Paese.

Quello “tradizionale”, alla faccia dei liquidatori delle ideologie del secolo passato; dei rottamatori dei formattatori e dei secessionisti di ogni sorta che da ormai troppo tempo martellano sul superamento della destra e della sinistra come categorie di riferimento.

È esattamente in questo solco che si annida il qualunquismo quale miglior viatico all’autoritarismo. Grazie anche a una certa sinistra che ha abbandonato le strade e le piazze per dedicarsi interamente al Palazzo. Per occuparlo. Per legittimare le nuove categorie sociali in cui riconoscersi. Estranee a qualsiasi tipo di reale partecipazione.

Democratici, cittadini, forzaitalioti e tutta una serie di post-qualcosa che servissero a scrollarsi di dosso le etichette tipiche di tutte le prime e le seconde repubbliche che si sono susseguite fino a oggi. Non ultima, quella uscita fuori da Mani Pulite. Dunque è quasi sempre la Magistratura che detta i termini di cambiamento. Per lo meno quelli per l’appunto che sanciscono istituzionalmente il passaggio da una repubblica all’altra.

In realtà, la società corre a una velocità ben diversa da quella burocratica. Anticipa, per bisogno e per necessità, le svolte “epocali” annunciate via via da governi che si succedono e si eliminano nell’arco di un battito d’ali.  A volte, invece,  rimane immobile, e vede il turbinio gattopardesco intorno a sé come un ineluttabile segno del destino. Eterni spettatori mai in prima fila. Allora è comodo rifugiarsi in quella sorta di limbo parastatale che sono le mafie. O quello che più prosaicamente è stato definito il “mondo di mezzo”.

Non vale l’indignazione se ci si è voltati dall’altra parte quando si denunciava e si gridava (e si continua a gridare), fino a rimanere senza voce, che la corruzione la malapolitica e il malaffare si erano impossessati di quel poco che rimaneva di ordinamento democratico. Più facile adagiarsi e consolarsi all’ombra di cronache fotocopia che riportavano (e continuano a riportare) solo problemi di ordine pubblico causati da isolate frange antagoniste. Da reduci del Secolo Breve.

Nel frattempo, mentre la realtà cominciava sempre più ad assomigliare a una pellicola di Terry Gilliam, Romanzo Criminale si ri-faceva realtà. Una realtà già accaduta quindi abbondantemente raccontata, e abbondantemente celebrata, che si riteneva solo per questo passata alla Storia. Invece no, ce la ritroviamo davanti ben piantata e in buona salute. Il sonno della Storia ha già generato mostri. Che hanno fatto in tempo a diventare grandi e capire dove e come è possibile rendere eterna la sonnolenza e perpetuare la propria esistenza.

Ai danni non di partiti o personalità di vario genere che si affannano a dichiarare la propria innocenza, ma al vero senso di comunità che è andato polverizzandosi sotto i colpi della finta democrazia al soldo del liberismo più sfrenato.

Cos’altro è altrimenti tutta questa storia di mazzette corrotti corruttori intimidazioni affari e prostituzione politica se non l’ennesima rivelazione della vera natura del capitalismo? Gli ingredienti ci sono tutti, e fa ribrezzo solo a pensare di elencarli, per quanto siano tutti straconosciuti. Lo sfruttamento, la violenza al servizio di un facile profitto, la manipolazione mediatica e le truffe elettorali, il terrorismo e il continuo richiamo alla “sicurezza” non sono degenerazioni del capitalismo: ne sono le fondamenta, gli alimenti indispensabili da cui ne trae nutrimento. La linfa vitale.

Quanto sta accadendo a Roma non è un fulmine a ciel sereno, ma la risultante di decenni di sistematico bombardamento delle regole più elementari del vivere civile. A cui hanno baldanzosamente partecipato, con ruoli da protagonista, meschine figure preposte a farle rispettare. Roma è una città violentata da decenni, massacrata dai cartelli della cementificazione selvaggia. Non ci sono dunque solo mondi di mezzo, superiori e inferiori, ma anche un mondo ai lati che ha rifiutato il diktat che imponeva (e continua a imporre) il dominio della merce sulle persone, il primato del profitto sulla umanità.

Per assurdo, si è venuto a scoprire che coloro i quali alimentavano il fuoco del progrom in versione italica erano gli stessi che facevano affari (e soldi, tanti soldi) sul business dell’accoglienza. Questo mostro che ci appare così lontano e quasi intangibile, in realtà è ben presente tra noi quando con sufficienza e superficialità liquidiamo la questione immigrazione come un inaccettabile pericolo per il nostro benessere.

Quando si accusano i rom di ogni nefandezza e colpevoli di nomadismo per nascondere le visibilissime crepe che si sono create nel nostro senso di solidarietà e nel nostro tessuto sociale. Ormai ridotto a brandelli, artificiosamente ricomposto a comando ogniqualvolta si avvicinano le scadenze elettorali.

Se permettiamo la distruzione della scuola pubblica, del welfare; se permettiamo che la Memoria diventi carta straccia o peggio ancora un ricordo, spianiamo la strada al più elementare dei fascismi. Quello quotidiano, quello che ci fa abituare a ogni ingiustizia se commessa poco più lontano della nostra vista, quello che asfalta i diritti per tutti in virtù dei privilegi per pochi. Quello di una informazione che non rende conto alla cittadinanza ma al proprio editore di appartenenza. Quello che gaudente va a braccetto con il nostro disinteresse e si sfrega le mani sapendoci inebetiti appresso ai simulacri del capitale.

“Se pijamo Roma”. Ed è il capitale che si è presa la Capitale.

Sotto forma di bande della magliana di holding del crimine o di amministrazioni criminali che continuano a lucrare sulle emergenze e sulle disperazioni di questa città incantata. La casa e il lavoro, innanzitutto, ma poi tutte le varie forme di disagio sociale alle quali non hanno saputo dar risposta se non quella dei manganelli e degli sgomberi. In perfetta sintonia quindi con tutta quella pseudo-filosofia del mondo di mezzo evocata dai professionisti della mafia. Che non è più una montagna di merda, ma una vera propria catena montuosa. Dove, tra l’altro, rischiano di finire stritolati alcune tra le vere vittime di questo ennesimo omicidio civile.

Lavoratori e lavoratrici di quelle cooperative che in condizioni di lavoro complicatissime, nel silenzio generale avevano già messo sotto accusa i propri gruppi dirigenti, diventati poi tristemente famosi per essere diventati il motore del meccanismo di corruzione all’interno del comune di Roma. Lavoratori e lavoratrici abbandonati da sindacati compiacenti che firmano con disinvoltura ogni genere di accordo. Sempre al ribasso e sempre sfavorevoli, per non disturbare il manovratore, salvo poi irretirsi allo spasimo per la peggiore riforma del lavoro mai concepita dal dopoguerra a oggi. In luogo di spendere risorse ed energie per internalizzare servizi che gli stessi enti pubblici erogano, si elargiscono oscene quantità di denaro a cooperative che di sociale non hanno altro che un pallido ricordo. Quando, parola di molti dirigenti del partito democratico, quelle stesse cooperative erano “il fiore all’occhiello della sinistra”. Qualcuno di quei dirigenti, prima di lasciare la guida delle legacoop per occupare la poltrona più alta del ministero del lavoro, s’intratteneva a tavola con parte di quella feccia che ora è venuta a galla. A sua insaputa, ovviamente.

Nel vortice di notizie di questi giorni, si sono rincorse conferme e smentite, analisi contro-analisi e immancabili editoriali di Saviano; partiti commissariati e sindaci scortati; amicizie abiurate ed ex-sindaci dalla memoria corta; indignati autentici e indignati improvvisati; attori pompati e calciatori rissosi in cerca di protezione; cardinali viziosi e parlamentari sul mercato.

Insomma, a guardarlo bene il solito penoso repertorio di un paese ferito ancor prima che nella sua identità, ammesso che ne possegga una, nell’immagine riflessa della sua ipocrisia.  Di  ignorare con olimpica calma il putiferio che gli si scatena nelle proprie viscere. Già messe a dura prova dagli usurpatori della partecipazione, dagli affossatori della dignità. Con arcaica modernità, per me continuano a essere i nemici del popolo.

In questo vortice mi sembra ci sia dimenticato di ricordare, per esempio, chi nel finire degli anni Settanta e al primo affacciarsi degli Ottanta, indagava e ricercava per impegno rivoluzionario e obbligo di verità i legami tra la estrema destra e apparati dello Stato, forze dell’ordine incluse.

E per questo fu assassinato, Valerio Verbano.

M.A.

El Salvador ricorda l’orribile massacro del Sumpul

1400089011_sumpulPer una buona parte della popolazione Salvadoregna è impossibile dimenticare il “Massacro del Sumpul”, una mattanza di centinaia di persone innocenti commessa il 14 maggio 1980 da membri dell’esercito.

Il Sumpul è uno dei fiumi più belli del Salvador ed oggi è una meta turistica, ma allo stesso tempo è testimone silenzioso di mattanze indiscriminate di civili che si sono verificate negli anni del conflitto.

All’alba del 14 maggio del 1980 nella comunità La Arada e nei suoi dintorni, i soldati del distaccamento militare 1 della Guarda Nazionale e il commando paramilitare Organizzazione Democratica Nazionale, appoggiati da elicotteri, spararono a più non posso contro i suoi abitanti.

I militari stavano realizzando dal giorno prima un’azione contro la guerriglia nella zona operando con violenze ed eccessi nei confronti della popolazione civile.

Si racconta che in questa voragine di morte, le donne che non ebbero il tempo di fuggire, furono torturate prima di ricevere il colpo di grazia, neonati furono lanciati in aria come bersagli di baionette e spari, gli adolescenti legati prima di essere fucilati.

Di fronte a tanta furia, numerose famiglie cercarono di fuggire attraversando il fiume Sumpul per rifugiarsi in Honduras, ma dall’altro lato furono respinti dalle truppe onduregne e i militari Salvadoregni fecero fuoco direttamente su di loro.

Morirono circa 600 persone, molti affogati, soprattutto bambini. Il fiume Sumpul, nel dipartimento di Chalatenango si tinse del sangue dei morti innocenti.

Le truppe salvadoregne non permisero la raccolta dei corpi che rimasero in balia della corrente e degli avvoltoi.

I governi di El Salvador e Honduras, ed anche gli osservatori della Organizzazione degli Stati Americani (OEA) negarono il massacro. Solo la diocesi onduregna di Santa Rosa de Copàm fece la prima denuncia.

Un rapporto della Commissione di Verità presentata nel 1993, segnala che il massacro fu commesso con la complicità di entrambi i paesi, anche le Conferenze Episcopali delle due nazioni confermarono i fatti.

Dopo 34 anni, i sopravvissuti e familiari delle vittime sostengono che ancora non si è potuta stabilire tutta la verità, tantomeno c’è stata giustizia o riparazione.

Ogni 14 maggio nella comunità di Las Aradas, si onora la memoria di centinaia di persone assassinate.sumpul

Nel 2012, la Segreteria di Cultura del Salvador ha dichiarato il luogo come Bene Culturale protetto dalla Legge sul Patrimonio Culturale.

La risoluzione considera il valore storico del luogo per il genocidio commesso, il valore sociale che dà l’essere oggetto di commemorazione annuale, dove sono coinvolte espressioni che evidenziano il ricordo e la memoria collettiva.

 

Fonte originale in spagnolo: Radio La Primerisima

¿Qué está pasando en Venezuela?

¿Como entender mejor las razones de la estrategia golpista que está llevando a cabo la oligarquía Venezolana en contra del proceso bolivariano?

¿De que se trata este famoso “golpe suave”?

Esta es una semilla de autodefensa mediática de la Universidad Popular del Buen Vivir

Honduras: L’ordine del Congresso è stato di reprimere tutte le azioni dell’opposizione.

Marvin Palacios | defensoresenlinea.com

desalojo_cn2Tegucigalpa: Il presidente del Congresso Nazionale Mauricio Oliva ha dato l’ordine di reprimere con brutalità il partito di opposizione Libertà e Rifondazione (LIBRE) e gli attivisti e i dirigenti che stavano manifestando pacificamente sotto il Congresso Nazionale.

L’ordine del giorno è stato: repressione e violenza, hanno dichiarato i deputati di LIBRE. Le azioni violente di cui sono stati protagonisti agenti dello Stato hanno costretto diversi deputati a ricorrere alle cure mediche oltre a decine di manifestanti colpiti duramente dalla brutalità con coi hanno operato i reparti antisommossa, poliziotti e militari.

Intorno alle 4 del pomeriggio di martedì 13 maggio, un grosso contingente della polizia militare, polizia del Commando di Operazioni Speciali (COBRA) e militari è entrato nell’aula del Congresso Nazionale, occupando posizioni strategiche all’interno della sala, circondando i deputati e le deputate del partito LIBRE e iniziando ad utilizzare manganelli, lacrimogeni e scudi per aggredire, spingere e colpire i rappresentanti del popolo.desalojo_cn1

Non c’è stato nessun tipo di riguardo per nessuno, compresa la deputata Claudia Garmendia del dipartimento di El Paraiso che ha subito l’assalto dei militari che l’hanno travolta e fatta cadere a terra e che è stata salvata dai suoi compagni di partito.

BnkUEKlIQAA6cdB.jpg_largeL’ex presidente Manuel Zelaya dopo essere stato espulso a spintoni e colpi dal secondo livello del Congresso dove presiede il gruppo parlamentare dei 36 deputati del partito LIBRE, ha dichiarato: “sono bestie, quelli che stanno governando in Honduras”

Per poi aggiungere con tristezza che: “sono bastati 100 giorni affinché iniziassero a mostrare i denti, il presidente Juan Orlando Hernández, non sarà rieletto come governante perché la sua dittatura sarà rifiutata dal popolo onduregno”.

Per le strade del centro storico si respirava fumo e gas al peperoncino in quantità industriale, e mentre la gente si proteggeva la bocca con panni di stoffa, altri erano perseguiti e colpiti dagli agenti in uniforme.BnjzWVTIAAADCGB.jpg_large

Il Parco Centrale di Tegucigalpa è stato nuovamente teatro di una guerra campale tra manifestanti e polizia ma con una grossa sproporzione di forze.

Molti manifestanti sono rimasti feriti seriamente a causa dei colpi ricevuti dalla polizia militare e dalle forze dell’ordine.

La deputata Claudia Garmendia è stata ricoverata in ospedale per i colpi e i gas ricevuti all’interno del Congresso, così come le deputate Elvia Argentina Erazo (del dipartimento di Copán) y Audelia Rodríguez (del dipartimento di Atlántida).

Anche i deputati Hari Dixon, Rafael Alegria e Wilfredo Paz sono stati colpiti. La Croce Rossa ha trasferito all’Ospedale Scuola (il principale ospedale pubblico della città) varie persone ferite e svenute.

Il partito LIBRE aveva convocato nei giorni scorsi una manifestazione pacifica sotto il Parlamento per chiedere che sui rappresentanti vengano inclusi nel Tribunale Supremo Elettorale, visto che il partito rappresenta la seconda forza politica del paese con 36 deputati. La risposta del presidente del Congresso, Mauricio Oliva è stata che se Libre vuole avere suoi rappresentanti al TSE deve ottenere 86 deputati (la maggioranza assoluta).

L’altra risposta di Mauricio Oliva si è concretizzata questo pomeriggio con l’ordine di reprimere brutalmente gli oppositori politici, gli attivisti e i dirigenti di LIBRE.

La situazione è preoccupante per gli organismi di difesa dei diritti umani, considerando anche che domani (14 maggio) ci saranno a protestare sotto il Congresso, le organizzazioni ambientaliste che chiedano la fine delle concessioni estrattive delle risorse minerarie del paese.

 

Video “Policía militar reprime a Diputados de Libre”:

 

Fonte Originale in Spagnolo: La orden desde el Congreso Nacional fue reprimir toda acción de la oposición

 

 

Telecronaca di una finale annunciata

jenny257x250Cronache. Cronaca nera, cronaca calcistica. Decine di migliaia di tifosi defluiscono verso lo stadio Olimpico. Finale di coppa Italia, fine della coppa. Italia alla fine. Un parcheggio zona stadio. Un’aggressione. Scontri. Feriti. Bombe carta. Il giorno dopo poi bombe sulla carta. Stampata. Scontri. Qualcuno spara. Qualcuno cade. Ferito. Quasi morto. L’aggressore (gli aggressori?) scappa. Non prima di aver dato fuoco alle polveri. Non prima di essere stato a sua volta ferito. Da un parcheggio all’ospedale. La massa dei tifosi continua a defluire verso lo stadio. Che si riempie. Anche di giornalisti, di personalità istituzionali. Di starlettes conosciute e facce patinate.

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Il Miracolo che Giovanni Paolo II non volle fare.

gp2_romero310x250 Nella primavera del 1979, l’arcivescovo di El Salvador, Oscar Romero, si recò in Vaticano: chiese, implorò, mendicò un’udienza presso il Papa Giovanni Paolo II.
“Aspetti il suo turno”.
“Non si sa”
“Torni domani”.

Alla fine, mettendosi in fila con gli altri fedeli che attendevano la benedizione, Romero sorprese sua santità e poté rubargli qualche minuto.

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