L’unico fondatore dell’FSLN ancora vivente.
Questa definizione se la portava dietro come fosse un allungamento naturale delle proprie generalità, quasi un marchio di fabbrica inestinguibile dalla propria persona; una caratterizzazione ormai consuetudinaria e necessaria. Almeno fino alle 20.30 ora di Managua del 30 aprile 2012.
Questa definizione se la portava dietro come fosse un allungamento naturale delle proprie generalità, quasi un marchio di fabbrica inestinguibile dalla propria persona; una caratterizzazione ormai consuetudinaria e necessaria. Almeno fino alle 20.30 ora di Managua del 30 aprile 2012.
Tomás Borge non ha avuto scampo dopo l’acuirsi di una malattia che lo inchiodava a un letto d’ospedale dal 6 aprile. Il guerrigliero che ha conosciuto la dittatura somozista fin dagli albori e che nel 1979 contribuì ad abbattere ha raggiunto l’altro padre della Rivoluzione del quale lui stesso diede un formidabile ed imperituro non-epitaffio:
Carlos Fonseca, es de los muertos que nunca mueren.
Di Carlos Fonseca fu amico dalla prima infanzia, tutti e due nativi di Matagalpa ed entrambi da subito legati dalla comune lotta contro il comune nemico, quella dinastia criminale dei Somoza insediatasi in Nicaragua grazie agli Stati Uniti e all’assassinio di Augusto César Sandino. Nonostante le rivolte soffocate nel sangue, carcere ed esilio, Tomás Borge e Carlos Fonseca, insieme a Silvio Mayorga Julio Buitrago Germán Pomares, tra gli altri, riuscirono nel 1961 ad unificare ed organizzare la resistenza dando vita al Frente Sandinista de Liberación Nacional. Quell’anelito alla epopea sandinista degli anni Venti e Trenta e la prospettiva rivoluzionaria su cui si fondava l’FSLN avrebbe forgiato intere generazioni di combattenti che sarebbero entrati poi trionfalmente a Managua il 19 luglio del 1979. Tomás Borge è stato quindi un protagonista di tutti quegli eventi imprescindibili della seconda metà del secolo scorso che hanno caratterizzato la storia dell’America Latina. E non solo.
Fu protagonista di una trasformazione storica che diede un apporto fondamentale anche a tutte le altre rivoluzioni “tradizionali” in corso in quel continente ed in altri angoli del pianeta oppressi da colonialismi secolari e tirannidi ancestrali. La novità della Rivoluzione Nicaraguense, come l’apertura al pluralismo e a libere elezioni, che da un punto di vista strettamente “ideologico” furono anche il suo limite congiuntamente all’aggressione statunitense, fu salutata come un lucido esempio di democrazia e partecipazione.
La guerra, con le sue leggi disumane, contribuì a decretare la fine di quel decennio che in ogni caso suggellò per sempre l’affrancamento del Nicaragua da ogni proposito di intervento autoritario. Tomás Borge fu Ministro dell’Interno durante la decade sandinista, e ovviamente s’inimicò anche una parte della società nicaraguense che vide nel corso di quegli anni un progressivo allontanamento da quella mística revolucionaria che così tanto aveva prima affascinato e poi sorretto l’attacco finale ad una dittatura moribonda e drammaticamente allo sbando. Il popolo nicaraguense, che commise l’atroce delitto di dichiarare la propria sovranità al mondo intero non sopportò più il debito di sangue che doveva pagare alla guerra di aggressione a cui era sottoposta per volontà dell’amministrazione Reagan. E così, il 25 febbraio del 1990, nel segreto delle urne chiuse quel capitolo di esperienza rivoluzionaria ed aprì le porte a sedici anni di neoliberismo sfrenato. La Dirección Nacional, quei nove comandanti che racchiudevano in sé una nobile storia di dignità e liberazione e le sorti di un popolo intero in cui si riconosceva (Dirección Nacional ordéne!) si sarebbero dilaniati poi, all’indomani delle elezioni del 90, tra dispute ideologiche e spartizioni del “tesoro” sandinista, con il rischio di polverizzare mezzo secolo di lotte e conquiste. Un capitolo doloroso del quale bisogna avere sempre l’onestà di parlarne, anche in momento doloroso come questo. La verità mai scalfisce la memoria.
T.Borge rimase indissolubilmente legato all’FSLN durante quegli anni tempestosi, e per lo stesso criterio di onestà intellettuale di questo gli va dato atto.
Fu scrittore oltre che guerrigliero, e la sua opera “La Paciente impaciencia” racconta in maniera impeccabile e poetica il nascere di quella che sarebbe stata poi la forza inarrestabile di un popolo alla ricerca della propria autodeterminazione attraverso l’inesorabile affermazione della propria identità.
El amanecer dejó de ser una tentación…
Questi alcuni suoi versi che avrebbero impreziosito l’Inno Sandinista, per dire quanto fosse elevata la simbiosi tra guerrigliero poeta e figlio della Patria di Sandino.
Visto che ci interessa la verità storica e la memoria, e non l’agiografia, segnaliamo anche un libro a dir poco controverso, un passo falso sotto forma di “tributo” a Salinas de Gortari, l’allora presidente messicano e responsabile della decadenza di un paese nonché della disinvolta intromissione di tutte quelle ricette economiche pilastro di quel crimine sociale che sarebbe passato alla storia come ALCA.
La sollevazione del 1994 in Chiapas è “figlia” di quel trattato e ne riconosciamo ancora oggi il valore imprescindibile e la sensatezza per comprendere le dinamiche socio-economiche del subcontinente.
Aldilà di questo però, vale la pena ricordare che lo stesso Tomás Borge riconobbe in seguito l'”errore” di quell’opera. Così come vale la pena ricordare la sua particolare modalità di parlare in pubblico e la sua oratoria spesso piena di richiami ai grandi della letteratura latinoamericana che al Nicaragua rivoluzionario, e non solo, hanno legato opere e parte delle proprie vite come Julio Cortázar e Eduardo Galeano, solo per citarne alcuni.
Una figura dunque quasi iconica della storia maiuscola dell’America Latina, 81 anni di dedizione alla causa in cui si potranno trovare sicuramente passi falsi e contraddizioni, ma che non ne scoloriscono la grandezza anzi ne amplificano la umanità.
Che per un rivoluzionario è una delle qualità di cui non se ne può fare a meno.
13 agosto 1930, 30 aprile 2012. Tomás Borge ci ha lasciato alla vigilia di una data così significativa come il Primo Maggio. Forse l’ha scelta per lasciare un monito incancellabile per tutte le sfide che ancora aspettano uomini e donne di questo mondo quotidianamente impegnati a cancellare dal vocabolario della umanità ingiustizie e sopraffazioni.
Con lo sguardo diretto al futuro, con il cuore nella lotta, il pensiero nella memoria.
Che la terra ti sia lieve, Comandante.
M.A.