di Marinella Correggia per il Manifesto
I membri dell’Alleanza Alba, e soprattutto Cuba e Venezuela che la fondarono il 14 dicembre 2004, hanno una consolidata storia di impegno contro le guerre di aggressione (prosecuzione dell’imperialismo con altri mezzi e forma più estrema di distruzione umana e ambientale). Non c’è ancora l’Alba quando Cuba e Nicaragua si oppongono alla prima guerra per il petrolio contro l’Iraq. Il 29 novembre 1990 il Consiglio di sicurezza Onu approva la risoluzione 678, autorizzando la cosiddetta «operazione di polizia internazionale» di Bush padre e alleati (Italia compresa). Gli unici a resistere sono due membri di turno, non permanenti: Cuba vota contro, Yemen si astiene. L’ultimo tentativo negoziale vede protagonista il presidente sandinista Daniel Ortega. Fra gennaio e febbraio 1991 l’Iraq è raso al suolo. Nel paese ridotto alla fame dall’embargo, lavorano gratis medici cubani. Agosto 2000: Hugo Chávez diventato presidente del Venezuela è il primo capo di Stato a recarsi a Baghdad.
Il 5 marzo 1999 Cuba condanna la «ingiustificata aggressione contro la Jugoslavia»: i bombardamenti Nato su Serbia e Kosovo sono iniziati da pochi giorni. Fidel invita gli «jugoslavi» a «resistere, resistere e resistere». Anni dopo, il 21 febbraio 2008, Hugo Chávez spiega che il Venezuela non riconoscerà un Kosovo indipendente, una secessione nata dalle bombe dell’impero.
Il 23 settembre 2001 Fidel Castro avverte che attacchi militari Usa in Afghanistan potrebbero avere conseguenze catastrofiche. Cuba sostiene che una soluzione pacifica è possibile e che l’Assemblea dell’Onu può condurre la lotta al terrorismo senza bombe. Pochi giorni dopo piove morte sulle terrose casupole afghane. Guerra infinita: anni dopo, nel 2009, Fidel Castro scrive che il ritiro del Nobel per la pace da parte di Barack Obama è stato un «atto cinico».
Nel 2003, alla vigilia della nuova guerra annunciata contro l’Iraq, quasi tutti gli ambasciatori e relativi staff fuggono di gran carriera. Non i cubani. L’ambasciatore e parte dello staff rimangono sotto le bombe anglo-statunitensi aiutate dall’Italia. L’opposizione anche da parte del Venezuela è veemente: anni dopo all’Assemblea dell’Onu, Chávez paragonerà George W. Bush al diavolo che puzza di zolfo. Nel 2009 l’Ecuador non rinnova agli Usa la base militare di Manta.
Il 2011 vede in particolare Venezuela, Cuba e Nicaragua protagonisti di uno sforzo negoziale per impedire la guerra della Nato contro la Libia. Dicono molti no nel contesto dell’Onu. Il 3 marzo Fidel Castro chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per una soluzione pacifica, avanzata da Chávez e appoggiata dai membri dell’Alba (e da 40 partiti della sinistra latinoamericana), accettata dalla Libia. Padre Miguel D’Escoto del Nicaragua sandinista accetta di rappresentare all’Onu la Jamahiriya libica, perché all’ambasciatore mandato da Tripoli gli Usa non hanno dato il visto. Sotto le bombe dell’ennesima guerra con pretesti umanitari (Fidel la definisce «un crimine mostruoso»), la venezuelana Telesur è fra i pochi media che si discostano dall’esaltazione della guerra. Il presidente boliviano Evo Morales chiede che Obama restituisca il Nobel. Gli ambasciatori di Cuba e Venezuela restano a Tripoli durante l’aggressione.
L’ingerenza occidentale e petromonarchica che ha trasformato la crisi in Siria in una guerra devastante è più volte denunciata da Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua che, all’Assemblea dell’Onu come al Consiglio dei diritti umani a Ginevra, oppongono il loro voto a risoluzioni proposte da Occidente e paesi del Golfo, gli «amici della guerra» che «non danno spazio ad alcuna soluzione politica, non presentano prove, violano il diritto internazionale e si preparano a provocare più morte e distruzione». E mentre Europa e Usa impongono sanzioni al paese, il Venezuela manda carburante — come agli statunitensi poveri.