Sabato 23 maggio. “QUEI FILINI BLU” di Silvia Nati

Ass. Italia-Nicaragua, Circolo “Leonel Rugama” e Spazioxygene presentano

 

“QUEI FILINI BLU” di Silvia Nati

(da una storia vera)

 

con: Roberta Fornier, Silvia Nati
regia: Annapaola Bardeloni
assistente alla regia: Alessio Aronne

Con il patrocinio istituzionale dell’Ambasciata Argentina in Italia

23.5.15

Sono appena appena 116.
116 su 500.
116 recuperati su 500 “scomparsi”. Bambini scomparsi nell”Argentina degli anni ’70 che oggi sono uomini e donne con vite diverse da quelle che erano destinati ad avere.
116 sono pochi.
Un “pugno di persone” che mostra, grida, testimonia che la Storia non si può cancellare, e che nonostante la dittatura militare abbia tentato di sotterrare la loro vera identità non tutto può essere nascosto, non tutto può esser fatto scomparire.
Sono 500 i bambini che scomparvero durante il regime militare instaurato in Argentina il 24 marzo del 1976. Furono sequestrati insieme ai genitori o fatti nascere in uno qualsiasi dei tanti centri clandestini di detenzione.
Ad oggi se ne sono potuti identificare 116 grazie alla ricerca instancabile delle loro famiglie e all’appoggio delle Abuelas di Plaza de Mayo.
Alcuni di loro furono “adottati” degli stessi sequestratori dei loro genitori, cercando di cancellarne completamente l’identità, le tracce dei loro legami precedenti. Perché non si corresse il rischio che diventassero come coloro che li avevano generati; esseri liberi pronti a creare una società libera.

Questo spettacolo racconta la Storia vera di una di questi 116 bambini.

Analìa ha soperto un giorno di non essere Analìa.
Ha scoperto, da adulta, che i suoi genitori non erano quelli che aveva sempre chiamato “papà e mamma”, che il suo sangue aveva il colore della rivolta e della desaparicion, che era nata in un centro di tortura – ultimo tetto della sua vera mamma – che nulla di ciò che sapeva di se stessa corrispondeva alla verità… nemmeno il suo anno di nascita.
Cosa può fare un essere umano che si guarda allo specchio senza più sapere chi è? Andare verso il futuro guardando il passato.
Accettare di essere “due” per potersi ricomporre in una unica persona ogni giorno da scoprire e accettare.
Per questo in scena ci sono due donne per raccontare una sola persona. Entrambe sono il passato. Entrambe saranno il futuro.
La lotta interiore contro qualcosa di troppo grande per poter essere compreso, ma inesorabilmente presente per poter essere ignorato.
Ora Analìa si chiama Victoria e il suo cognome appartiene ai suoi veri genitori desaparecidos. Le ferite si chiudono, ma le cicatrici restano. E questi segni dell’anima e del cuore sono la fotografia di una Storia personale e comune.
È la storia di trentamila desaparecidos, è la lotta delle coraggiose Madres e Abuelas de Plaza de Mayo che ancora oggi si battono per la giustizia e la memoria dei propri figli e nipoti. È la storia di un paese che finalmente decide di fare i conti con il passato riaprendo i tribunali e abolendo le leggi di impunità di cui i militari hanno goduto per anni. È la storia di una Donna alla ricerca della propria identità.

Identità imposta, identità personale, identità acquisita. Identità di un popolo.
A. Bardeloni

 


Dalle 20 APERITIVO _ Ore 21 INIZIO SPETTACOLO
Ingresso Libero Uscita a Cappello

@Spazioxygene Via San Tommaso D’Aquino, 11/a (Metro Cipro)

Noi puoi uccidere un’idea se la sgomberi.

Alla Scuola e Cultura Popolare di Via Nola 5 si sono presentati all’alba con ruspe tronchesi e assetto antisommossa.

L’opera di demolizione è iniziata in sordina, quando la città ancora dormiva. Come fanno i topi d’appartamento, in definitiva. Come chi deve nascondersi dalla luce del sole per non rendere pubbliche le proprie malefatte. La città dormiva ma la cittadinanza sta con gli occhi ben aperti quando si continuano a commettere ingiustizie in nome della “legalità” e della “sicurezza”. Da anni Scup promuove propone e produce spazi di libertà in un tessuto sociale sempre più lacerato, in balia di amministrazioni di centro-qualsiasicosa che non riescono a dare risposte neanche alle esigenze basilari della popolazione.

Alla mercé di palazzinari e lobbies politiche. L’autorganizzazione, la occupazione di immobili che giacciono in alcuni cimiteri sociali, perché tali sono diventate molte zone delle nostre metropoli, fa paura. Ancor più l’idea, a volte, che la sua realizzazione; che strappare ai soliti esecutori del Sacco di Roma attraenti proprietà “in disuso” da trasformare nell’ennesimo centro commerciale o nell’ennesima palazzina in mano a privati. La socialità, lo sport popolare, la cultura, non hanno diritto di cittadinanza in territori urbani dove sembrano destinati a scomparire la solidarietà e il bene comune. Prevale invece la in-cultura della diffidenza, della guerra tra poveri, del disprezzo per qualsiasi cosa suoni a “diverso”; di ogni tipo di razzismo e fascismo.

Prevale, e rischia di affermarsi, un modello di società che riproduce pari pari quello della expo milanese: una immensa vetrina che luccica e abbaglia al cui interno si consuma il rito della sepoltura di ogni tipo di diritto. Un modello di società che ricalca il modus operandi del capitalismo, che seguita imperterrito a perseguire il suo obiettivo di privatizzare i profitti e pubblicizzare le perdite.

Le giunte che si sono susseguite in tutti questi anni, aldilà del “colore” che dovrebbe caratterizzarle, avranno forse modalità diverse ma una cosa in comune: desertificare il dissenso. Si promette per non mantenere, tagli lineari ai servizi essenziali per le persone, controllo sociale spacciato per sicurezza, totale mancanza di risposte all’emergenza abitativa, continue intimidazioni nei confronti di spazi sociali autogestiti. Gestione mafiosa della cosa pubblica, mafia negli appalti. C’è una sola occupazione, illegale illegittima e realmente pericolosa, che bisognerebbe sgomberare; quella del Mondo di Mezzo sugli scranni del potere di questa città.

Per farlo c’è bisogno di una opposizione sociale che mantenga al suo interno le tante realtà che la animano, e tra innumerevoli difficoltà per un generale impoverimento culturale ancorché economico, e che invece sono diventate target per la voracità neoliberista e per i neo-asfaltatori che la la sostengono e l’alimentano.

Totale solidarietà a Scup!. Non si uccide una idea se la sgomberi.

Associazione Italia-Nicaragua;

Autorecupero SanTommaso;

Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana – “Caracas ChiAma”;

Spazio Oxygene;

 

S.CU.P-web

 

Lotta per la casa, lotta di classe. 21 marzo 1958 – 13 dicembre 2014

La legge Togni (21-3-1958) che prevedeva la vendita di tutto il patrimonio pubblico di alloggi a favore degli inquilini passata quasi all’ unanimità, anche con l’appoggio delle sinistre, produceva tanti piccoli proprietari di casa dividendo gli inquilini in grado di acquistare un appartamento da un’altra parte, più povera, che non poteva nemmeno disporre del milione, milione e mezzo di lire necessario per diventare proprietaria dell’appartamento.

Si costituiva così uno strato relativamente soddisfatto, sicuro almeno di disporre di un alloggio per tutta la vita e di trasmetterlo ai figli: l’operazione democristiana ebbe dunque un significato di ampia portata che si inseriva in quello analogo operato nello stesso periodo o poco prima con gli enti di riforma agraria (legge Segni).

In realtà ci furono delle resistenze a questa legge, ma soprattutto a livello di base. Nelle sezioni del PCI e del PSI, nelle assemblee di rione la parte più cosciente della classe operaia denunciò quello che veniva realizzato con questa legge: ci si disfaceva di un patrimonio ottenuto con i contributi di tutti i lavoratori, e che doveva essere a disposizione della generalità dei lavoratori invece che del libero mercato e, dunque, della proprietà privata; il fatto che questi milioni di vani (di tanto si tratta) restassero in affitto costituiva per il resto del mercato un enorme calmiere che agiva da freno al lievitare dei prezzi della casa.

Ma era proprio per questo che la legge (che porta il nome di una delle più sporche figure democristiane) venne varata: per dividere i lavoratori e per liberare il campo alla speculazione immobiliare. Il PCI e il PSI su questa legge non presero una posizione netta e di massa; nelle aziende solo poche avanguardie riuscirono a coinvolgere nella discussione le commissioni interne.

A Firenze le assemblee poco a poco si svuotarono, i comitati di inquilini non ressero di fronte alla “spontanea” aspirazione di altri decisi ad acquistarsi la casa dove vivevano.

Le vendite frazionate si estesero perciò a buona parte del patrimonio pubblico (Ina Casa – Case Fanfani ecc.); i comitati si sciolsero e con essi l’ultima iniziativa a livello territoriale che i partiti riformisti avessero preso con le caratteristiche di “movimento di massa” e di “antagonismo rispetto alla legge di mercato”.

Tratto da “Le lotte per la casa a Firenze” di Mattei – Morini – Simoni Ed. Savelli 1975

 

Nazione malata, capitale infetta

Non si può fare a meno di pensare a Pier Paolo Pasolini mano a mano che giungono notizie su Mafia Capitale. Aldilà della facile suggestione, ora si potrebbe quasi dire che oltre a sapere, “io so”, ci sono anche le prove. Le prove di un sistema fasciomafioso messo su grazie a compiacenze istituzionali e giuridiche. Non sono certo sufficienti gli sforzi di una Procura che per anni è stata famosa per essere un porto delle nebbie. Questa definizione risale ad anni e anni fa, quando il redditizio intreccio tra criminalità e potere era già una realtà. Già visibile a chi sapeva ma non aveva le prove.v_v

E non sono certo sufficienti le telecomandate ondate di sdegno da parte di chi in quel caliginoso porto faceva approdare comodamente le proprie navi. La sovrapposizione tra mafia e politica, al punto di non capire più esattamente dove inizia l’una e finisce l’altra, non è storia recente. E, stiamone certi, non si esaurisce per gli effetti di una inchiesta giudiziaria. Affonda le radici in un terreno che ancor prima che giudiziario e politico, è culturale. Lo stesso che ha fatto germogliare i vari fascismi in giro per il Paese.

Quello “tradizionale”, alla faccia dei liquidatori delle ideologie del secolo passato; dei rottamatori dei formattatori e dei secessionisti di ogni sorta che da ormai troppo tempo martellano sul superamento della destra e della sinistra come categorie di riferimento.

È esattamente in questo solco che si annida il qualunquismo quale miglior viatico all’autoritarismo. Grazie anche a una certa sinistra che ha abbandonato le strade e le piazze per dedicarsi interamente al Palazzo. Per occuparlo. Per legittimare le nuove categorie sociali in cui riconoscersi. Estranee a qualsiasi tipo di reale partecipazione.

Democratici, cittadini, forzaitalioti e tutta una serie di post-qualcosa che servissero a scrollarsi di dosso le etichette tipiche di tutte le prime e le seconde repubbliche che si sono susseguite fino a oggi. Non ultima, quella uscita fuori da Mani Pulite. Dunque è quasi sempre la Magistratura che detta i termini di cambiamento. Per lo meno quelli per l’appunto che sanciscono istituzionalmente il passaggio da una repubblica all’altra.

In realtà, la società corre a una velocità ben diversa da quella burocratica. Anticipa, per bisogno e per necessità, le svolte “epocali” annunciate via via da governi che si succedono e si eliminano nell’arco di un battito d’ali.  A volte, invece,  rimane immobile, e vede il turbinio gattopardesco intorno a sé come un ineluttabile segno del destino. Eterni spettatori mai in prima fila. Allora è comodo rifugiarsi in quella sorta di limbo parastatale che sono le mafie. O quello che più prosaicamente è stato definito il “mondo di mezzo”.

Non vale l’indignazione se ci si è voltati dall’altra parte quando si denunciava e si gridava (e si continua a gridare), fino a rimanere senza voce, che la corruzione la malapolitica e il malaffare si erano impossessati di quel poco che rimaneva di ordinamento democratico. Più facile adagiarsi e consolarsi all’ombra di cronache fotocopia che riportavano (e continuano a riportare) solo problemi di ordine pubblico causati da isolate frange antagoniste. Da reduci del Secolo Breve.

Nel frattempo, mentre la realtà cominciava sempre più ad assomigliare a una pellicola di Terry Gilliam, Romanzo Criminale si ri-faceva realtà. Una realtà già accaduta quindi abbondantemente raccontata, e abbondantemente celebrata, che si riteneva solo per questo passata alla Storia. Invece no, ce la ritroviamo davanti ben piantata e in buona salute. Il sonno della Storia ha già generato mostri. Che hanno fatto in tempo a diventare grandi e capire dove e come è possibile rendere eterna la sonnolenza e perpetuare la propria esistenza.

Ai danni non di partiti o personalità di vario genere che si affannano a dichiarare la propria innocenza, ma al vero senso di comunità che è andato polverizzandosi sotto i colpi della finta democrazia al soldo del liberismo più sfrenato.

Cos’altro è altrimenti tutta questa storia di mazzette corrotti corruttori intimidazioni affari e prostituzione politica se non l’ennesima rivelazione della vera natura del capitalismo? Gli ingredienti ci sono tutti, e fa ribrezzo solo a pensare di elencarli, per quanto siano tutti straconosciuti. Lo sfruttamento, la violenza al servizio di un facile profitto, la manipolazione mediatica e le truffe elettorali, il terrorismo e il continuo richiamo alla “sicurezza” non sono degenerazioni del capitalismo: ne sono le fondamenta, gli alimenti indispensabili da cui ne trae nutrimento. La linfa vitale.

Quanto sta accadendo a Roma non è un fulmine a ciel sereno, ma la risultante di decenni di sistematico bombardamento delle regole più elementari del vivere civile. A cui hanno baldanzosamente partecipato, con ruoli da protagonista, meschine figure preposte a farle rispettare. Roma è una città violentata da decenni, massacrata dai cartelli della cementificazione selvaggia. Non ci sono dunque solo mondi di mezzo, superiori e inferiori, ma anche un mondo ai lati che ha rifiutato il diktat che imponeva (e continua a imporre) il dominio della merce sulle persone, il primato del profitto sulla umanità.

Per assurdo, si è venuto a scoprire che coloro i quali alimentavano il fuoco del progrom in versione italica erano gli stessi che facevano affari (e soldi, tanti soldi) sul business dell’accoglienza. Questo mostro che ci appare così lontano e quasi intangibile, in realtà è ben presente tra noi quando con sufficienza e superficialità liquidiamo la questione immigrazione come un inaccettabile pericolo per il nostro benessere.

Quando si accusano i rom di ogni nefandezza e colpevoli di nomadismo per nascondere le visibilissime crepe che si sono create nel nostro senso di solidarietà e nel nostro tessuto sociale. Ormai ridotto a brandelli, artificiosamente ricomposto a comando ogniqualvolta si avvicinano le scadenze elettorali.

Se permettiamo la distruzione della scuola pubblica, del welfare; se permettiamo che la Memoria diventi carta straccia o peggio ancora un ricordo, spianiamo la strada al più elementare dei fascismi. Quello quotidiano, quello che ci fa abituare a ogni ingiustizia se commessa poco più lontano della nostra vista, quello che asfalta i diritti per tutti in virtù dei privilegi per pochi. Quello di una informazione che non rende conto alla cittadinanza ma al proprio editore di appartenenza. Quello che gaudente va a braccetto con il nostro disinteresse e si sfrega le mani sapendoci inebetiti appresso ai simulacri del capitale.

“Se pijamo Roma”. Ed è il capitale che si è presa la Capitale.

Sotto forma di bande della magliana di holding del crimine o di amministrazioni criminali che continuano a lucrare sulle emergenze e sulle disperazioni di questa città incantata. La casa e il lavoro, innanzitutto, ma poi tutte le varie forme di disagio sociale alle quali non hanno saputo dar risposta se non quella dei manganelli e degli sgomberi. In perfetta sintonia quindi con tutta quella pseudo-filosofia del mondo di mezzo evocata dai professionisti della mafia. Che non è più una montagna di merda, ma una vera propria catena montuosa. Dove, tra l’altro, rischiano di finire stritolati alcune tra le vere vittime di questo ennesimo omicidio civile.

Lavoratori e lavoratrici di quelle cooperative che in condizioni di lavoro complicatissime, nel silenzio generale avevano già messo sotto accusa i propri gruppi dirigenti, diventati poi tristemente famosi per essere diventati il motore del meccanismo di corruzione all’interno del comune di Roma. Lavoratori e lavoratrici abbandonati da sindacati compiacenti che firmano con disinvoltura ogni genere di accordo. Sempre al ribasso e sempre sfavorevoli, per non disturbare il manovratore, salvo poi irretirsi allo spasimo per la peggiore riforma del lavoro mai concepita dal dopoguerra a oggi. In luogo di spendere risorse ed energie per internalizzare servizi che gli stessi enti pubblici erogano, si elargiscono oscene quantità di denaro a cooperative che di sociale non hanno altro che un pallido ricordo. Quando, parola di molti dirigenti del partito democratico, quelle stesse cooperative erano “il fiore all’occhiello della sinistra”. Qualcuno di quei dirigenti, prima di lasciare la guida delle legacoop per occupare la poltrona più alta del ministero del lavoro, s’intratteneva a tavola con parte di quella feccia che ora è venuta a galla. A sua insaputa, ovviamente.

Nel vortice di notizie di questi giorni, si sono rincorse conferme e smentite, analisi contro-analisi e immancabili editoriali di Saviano; partiti commissariati e sindaci scortati; amicizie abiurate ed ex-sindaci dalla memoria corta; indignati autentici e indignati improvvisati; attori pompati e calciatori rissosi in cerca di protezione; cardinali viziosi e parlamentari sul mercato.

Insomma, a guardarlo bene il solito penoso repertorio di un paese ferito ancor prima che nella sua identità, ammesso che ne possegga una, nell’immagine riflessa della sua ipocrisia.  Di  ignorare con olimpica calma il putiferio che gli si scatena nelle proprie viscere. Già messe a dura prova dagli usurpatori della partecipazione, dagli affossatori della dignità. Con arcaica modernità, per me continuano a essere i nemici del popolo.

In questo vortice mi sembra ci sia dimenticato di ricordare, per esempio, chi nel finire degli anni Settanta e al primo affacciarsi degli Ottanta, indagava e ricercava per impegno rivoluzionario e obbligo di verità i legami tra la estrema destra e apparati dello Stato, forze dell’ordine incluse.

E per questo fu assassinato, Valerio Verbano.

M.A.

La resistenza di KOBANE e la lotta del popolo Kurdo

KURDISTAN San Tommaso
Locandina

 

Domenica 14 Dicembre 2014

La resistenza di KOBANE e la lotta del popolo Kurdo

Via S.Tommaso d’Aquino 11/A (Fermata Metro A: Cipro) – Roma

 

  • Dalle 18.30: Incontro con Yilmaz Orkan, membro del  Congresso Nazionale del Kurdistan e portavoce dell’Associazione Uiki. Ufficio d’Informazione del Kurdistan.

  • Info e report dalla Staffetta Romana per Kobane.

  • Proiezioni video sulla Rivoluzione del Rojava e sulla lotta del popolo kurdo.

  • A seguire: Cena Sociale.

II INCONTRO EUROPEO IN SOLIDARIETÀ CON LA RIVOLUZIONE POPOLARE SANDINISTA – ROMA 2014

Locandina_2Encuentro_bordo_800x1073Ora più che mai, come internazionalisti, dobbiamo rafforzare il lavoro si Solidarietà con i popoli dell’America Latina nell’enorme sforzo di sconfiggere il capitalismo e la povertà che continuano a minacciare il subcontinente. Il Nicaragua, così come tutti i paesi dell’ALBA è in prima linea in questo sforzo di portare avanti le conquiste della Rivoluzione Popolare Sandinista. Noi, le associazioni, le strutture e tutti i movimenti sociali che nel corso degli anni abbiamo avuto un ruolo significativo nell’appoggio di questo cammino di liberazione, vogliamo rinnovare e riattivare il nostro impegno.

Leggi tutto “II INCONTRO EUROPEO IN SOLIDARIETÀ CON LA RIVOLUZIONE POPOLARE SANDINISTA – ROMA 2014”