Abbiamo già visto, perché è la Storia a insegnarcelo, che gli equilibri politici e conomici che affamano la popolazione non si smantellano se non con il conflitto sociale.
Con la solidarietà.
Con la lotta di classe.
Non credo bisogna aver paura di fare ricorso a espressioni e modalità che apparentemente sembrano “patrimonio” della memoria.
Il capitalismo non se ne fa scrupolo e irrompe nelle nostre esistenze con la stessa prepotenza dei secoli passati.
Con un’attenta opera di maquillage pervade il nostro presente per distruggere il nostro futuro.
Gli indicatori economici che parlano di una disoccupazione, soprattutto quella giovanile, in continua crescita non sono opera di pericolosi sovversivi.
Sono la fotografia di una società in disfacimento che scambia la precarietà per risorsa; che strangola i diritti per dare fiato al profitto.
Le cosiddette grandi opere stravolgono il territorio e cercano di demolire la volontà popolare.
La sovranità è in svendita totale.
A questo massacro si prestano forze politiche che nella penosa solitudine delle proprie stanze si coalizzano per consolidare gli interessi dei pochi a scapito del bene comune.
Quest’ultimo è previsto sia tutelato e garantito dalla Costituzione, ma le larghe intese hanno maglie strettissime quando si parla di diritti. Sono però forze in forse.
Nonostante l’appoggio incondizionato, a parte le schermaglie telecomandate di alcune testate “non in linea”, della quasi totalità degli organi d’informazione.
Fino a qualche tempo fa si parlava del “Partito di Repubblica”, organo ufficiale di una classe politica inconsistente e per questo maggiormente nociva; ora ai vari governi tecnici di scopo del presidente e via di questo passo corrisponde una informazione supina e allineata.
Ne abbiamo avuto prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, nella cronaca della giornata di ieri.
Preceduta da settimane di battage terroristico in attesa del grande bagno di sangue che ci sarebbe dovuto essere durante la manifestazione.
Lo si attendeva con ansia e trepidazione.
Si sperava che accadesse la replica del 15 ottobre 2011, per avere le nove colonne garantite e succulenti aperture dei telegiornali.
Sono bastati quindici minuti di parapiglia davanti a un ministero per sovvertire il reale andamento di una giornata che ha invece portato fino in fondo i presupposti con i quali è stata costruita.
Le rivendicazioni di un popolo in sofferenza sono più forti delle menzogne, tanto più se sbraitate in diretta tv mentre un fiume umano scorreva determinato e cosciente.
Rabbioso, tra saracinesche abbassate e palazzi blindati.
Ma con tante persone alla finestra ad applaudire al suo passaggio.
Il 19 ottobre ha fatto breccia.
M.A.